Via Bonatti Oggioni – Pilastro Rosso del Brouillard (Monte Bianco)

L’idea di fare una salita sulle rosse guglie granitiche del Bianco con il mio compagno Leonardo “Ghiso” era nata già un anno fa quando per la prima volta scoprendo la est del Grand Capucin mi si aprì un mondo di possibilità e scalate da sogno in alta quota. Poi alla fine impegni, lavoro e studio ci hanno messo i bastoni fra le ruote e non siamo più riusciti a salire sul Capucin insieme. In compenso almeno io sono riuscito a salire la Bonatti-Ghigo sulla est del Cap e la grande classica traversata delle Aiguille du Diable. Il desiderio di fare una via insieme su questo splendido massiccio tuttavia rimaneva ed insieme ad esso crescevano anche esperienza, allenamento e ambizioni così decido di sconvolgere i piani e il 14 febbraio invio una serie di messaggi a Leonardo che contengono una nuova proposta. La nuova proposta è appunto la via Bonatti-Oggioni sul Pilastro rosso del Brouillard. Il pilastro Rosso è una delle verticali strutture rocciose che si innalzano sulla parete sud del Monte Bianco, una parete di 400 metri di perfetto granito rosso già visibile dal fondovalle in Val Veny. Dopo qualche piccolo dubbio iniziale il socio accetta la proposta e inizia un lungo periodo di preparazione per la logistica e la gestione della salita alla fine del quale decidiamo di dividerla in tre giorni in questo modo:

Primo Giorno: Auto fino a Courmayeur e avvicinamento ai bivacchi d’Eccles posti in una posizione strategica a circa 45 minuti dalla parete [2300m D+ e circa sei ore di cammino]

Secondo Giorno: Salita del Pilastro, della successiva cresta fino alla cima del Picco Luigi Amedeo (4470 m) e l’ultima infinita cresta del Brouillard che porta prima sul Monte Bianco di Courmayeur (4765 m)e poi infine sulla vetta principale del Bianco (4809 m). Una volta in cima al bianco un’ultima discesa fino alla capanna Vallot dove trascorreremo la seconda notte.

Terzo Giorno: Rientro in Val Veny scendendo dalla normale italiana [2800 m D-]

A inizio luglio iniziano le ferie di Leonardo e vista la bellissima finestra di bel tempo sulle Alpi ne approfittiamo per un’uscita di acclimatamento sul Weisshorn (4506 m) che saliamo in due giorni bivaccando all’aperto senza sfruttare rifugi o appoggi di qualsiasi genere portandoci sulle spalle tutto il necessario.

Su questo punto penso sia doveroso fare una piccola digressione, per noi era molto importante fare questa salita nel modo più indipendente possibile mantenendo uno “stile alpino” e pulito. Con stile alpino si intende un approccio alla montagna dove non si sfruttano impianti di risalita, rifugi o campi attrezzati. In pratica è allo stesso tempo il modo più difficile, faticoso e remunerativo con cui si possa salire una montagna. Ovviamente non sempre è possibile mantenere questo stile per questioni di morfologia del territorio e disponibilità di tempo tuttavia quando si riesce a compiere una salita con questo stile la soddisfazione è sempre grande poiché si è saliti quella montagna senza nessun “trucchetto” o aiuto e si può realmente dire di essersi confrontati con la montagna “ad armi pari”.

Nel caso del Pilastro Rosso è possibile compiere la salita in stile alpino ma richiede grande allenamento fisico e una certa resistenza mentale (la discesa in particolare è proprio infinita) proprio per questo motivo sul Weisshorn abbiamo deciso di bivaccare all’aperto portandoci dietro tutto il materiale per abituare (per quanto possibile) fisico e soprattutto mente a grandi dislivelli con grossi carichi sulle spalle. Comunque sul Weisshorn tutto fila liscio dandoci conferma della nostra preparazione fisica e nel giro di qualche giorno neanche a farlo apposta spunta all’orizzonte una grossa finestra di bel tempo sul Bianco. Alla fine a soli tre giorni dalla salita sul Weisshorn ci ritroviamo nel parcheggio in val veny con due zaini stracolmi di materiale.

La nostra avventura inizia con la salita al Rifugio Monzino posto sotto l’impressionante parete nord dell’Aguille Noire e la lontanissima (purtroppo) parete sud del Bianco dove già si intravede il pilastro rosso incastonato fra milioni di metri cubi di roccia e ghiaccio tanto affascinanti quanto instabili. In poco meno di due ore risaliamo l’irto sentiero a tratti attrezzato che sale al rifugio dove facciamo una breve pausa pranzo. Dopo aver scambiato qualche parola con i gentili nuovi gestori del rifugio ci avviamo verso il Ghiacciaio del Brouillard che si raggiunge tramite una lunga morena detritica. Poco prima di raggiungere il ghiacciaio cambiamo assetto, ci mettiamo i ramponi e ci leghiamo con una corda. La prima parte del ghiacciaio non presenta crepacci ma è minacciata da una grossa cupola di ghiaccio che sovrasta il colatoio nevoso dove bisogna salire e continua e scaricare sassi. Superiamo questo tratto il più velocemente possibile per non esporci troppo al rischio e dopo aver superato una zona con del fastidioso ghiaccio vivo ci ritroviamo sul bacino superiore del ghiacciaio dove si procede ora più facilmente su pendenze più dolci. Continuiamo quindi a salire il tormentato ghiacciaio per altre due ore attraversando a volte enormi crepacci larghi parecchi metri sfruttando dei provvidenziali ponti di neve fino a giungere sotto l’ultimo scivolo di neve che porta alla base dello sperone roccioso dove sono posti i bivacchi d’Eccles. Ci togliamo i ramponi e procedendo slegati superiamo un centinaio di metri facili ma con roccia estremamente instabile e pericolosa fino ad arrivare al primo bivacco. Dopo qualche discussione sulla distribuzione dei posti nei bivacchi (erano strapieni) riusciamo ad aggiudicarci due miseri posti nel bivacco Crippa il quale essendo qualche anno fa stato travolto da una valanga è mezzo aperto e con i materassi ricoperti di ghiaccio. Poteva andarci meglio è vero ma sempre meglio che fuori… Con un paio di “spazzolate con la mano” riesco a togliere la maggior parte del ghiaccio sul mio materasso e in un tripudio di odori di liofilizzati diversi mi corico in quell’angolino che per una notte sarà il mio letto. Aspetto che la cordata francese che condivide il bivacco con noi finisca di cenare e subito inizio a sciogliere l’acqua dalla neve per preparare la cena che in pochi minuti è pronta, le buste liofilizzate non è che siano esattamente gustose ma cavolo se sono comode! Dopo aver mangiato parlo per qualche minuto con i ragazzi francesi ma solo per poco, domani bisogna svegliarsi presto e nessuno ha voglia di partire già stanco.

Ore 3:00. Suona la sveglia e senza perdere tempo mi alzo svogliatamente dal letto, i ragazzi francesi sono già partiti per fare l’Innominata quindi ho un po’ di prezioso spazio per compiere le meccaniche operazioni mattutine: Prendi la neve, metti la neve del fornellino, quando si scioglie tutta metti altra neve e quando finisce la neve che hai preso prendine altra and REPEAT! Preparo un te al limone copiosamente condito di zucchero e nel giro di una mezzoretta abbiamo fatto colazione e siamo pronti a partire. Riordiniamo gli zaini, dividiamo il materiale e ci imbraghiamo subito dato che dovremo fare una calata poco fuori dal bivacco che ci depositerà sul ghiacciaio alla base della parete. Aspettiamo ancora qualche minuto al caldo del bivacco e usciamo fuori alla mercé degli elementi che fortunatamente non ci disturbano più di tanto. Dopo qualche metro di facili roccette reperiamo la calata e sfruttando una corda fissa mettiamo piede sul ghiacciaio, dopo qualche centinaio di metri su pendii di neve sfruttando un ancoraggio in loco (sosta su tre dadi) superiamo l’enorme crepaccio che caratterizza la prima parte del ghiacciaio. Proseguiamo quindi ancora su terreno nevoso per qualche centinaio di metri e poi per un breve diedrino con corda fissa fino a giungere all’attacco della via posto su un terrazzino alla base di una fessura verticale. A questo punto ci togliamo gli scarponi, calziamo le scarpette da arrampicata e ci leghiamo con entrambe le corde. Il primo tiro è una fessura di 6a da incastrare, nulla di troppo difficile ma senza luce con qualche grado sotto lo zero e uno zaino di più di 10 kg mi impegna decisamente. In compenso l’arrampicata e la roccia sono stupende per non parlare dell’ambiente in cui siamo immersi. Per il secondo tiro parte Leonardo da primo ma dopo qualche metro decidiamo di comune accordo che forse è meglio se continuo ad aprire io da primo (avendo un po’ più di margine arrampico più velocemente) per non perdere troppo tempo, visto il luogo dove ci troviamo non possiamo permettercelo. La via prosegue con ritmo buono e costante nonostante i tiri siano tutti piuttosto fisici e con passi “scorbutici”. Riesco pure a sbagliarne uno seguendo una fessura verticale decisamente impegnativa e cattivella ma in qualche modo riesco a ritrovare la giusta via e verso le 14:30 siamo in cima al pilastro. L’orario non è quello che mi aspettavo, pensavo di arrivare in cima verso mezzogiorno, quindi decido di aumentare un po’ il ritmo sulla successiva cresta che porta al Picco Luigi Amedeo che saliamo legati in conserva corta. Arriviamo con un buon tempo in cima al Picco, facciamo una breve pausa per bere qualche sorso e magiare una barretta e si riparte subito alla volta dell’infinita cresta del Brouillard. Questo tratto della salita è probabilmente il più lungo e impegnativo data la quota e il terreno pericoloso, non oppone difficoltà tecniche elevate ma bisogna costantemente stare attenti perché si procede legati in conserva e si è già abbastanza stanchi dopo il Pilastro Rosso. La cresta ci impegna per circa 6/7 ore alla fine delle quali ci troviamo sotto l’ultimo pendio nevoso che conduce alla cima del Monte Bianco. Arriviamo in vetta alla montagna più alta delle alpi verso le 22:30 giusto in tempo per goderci le ultime spettacolari luci del tramonto e dopo le solite foto di rito in cima ci avviamo senza perdere troppo tempo verso la Capanna Vallot (anche perché nel frattempo aveva iniziato a soffiare un vento che portava le percepite a -15). Ci fiondiamo giù dalla normale e in meno di un’ora siamo dentro alla Capanna pronti per il meritato riposo, purtroppo però poco dopo arriva anche un gruppo di guide con i clienti che occupano l’intero bivacco facendo anche un casino infernale costringendomi a posticipare sia il riposo che la tanto agognata reidratazione. Aspetto quindi che se ne vadano per riuscire a sciogliere un po’ d’acqua e farmi un te rigenerante dopo il quale crollo immediatamente sopraffatto dalla stanchezza.

Il mattino seguente la sveglia è garantita dal continuo via vai di alpinisti che salgono dalla normale e si fermano per una breve pausa alla Vallot. Con tutta calma preparo nuovamente il te e facciamo colazione circondati da volti a volte distrutti dalla quota a volte esaltati dalla cima che stanno per raggiungere. Verso le 8 ci avviamo verso valle seguendo le tracce della normale italiana che dopo una breve tratto in piano, una risalita, una cresta nevosa e uno sperone roccioso ci riporta dal lato italiano sul Ghiacciaio sopra il rifugio Gonnella. Scendiamo il ghiacciaio trovando numerosi crepacci aperti che parecchie volte costringono a dei salti e giri dell’oca per trovare una via in mezzo a un labirinto di buchi nel ghiaccio. Arrivati al rifugio Gonnella ci fermiamo per una meritata pausa, ci godiamo il panorama mozzafiato davanti ai nostri occhi e le spaventose scariche che spesso si vedono scendere dalle montagne che circondano il rifugio. Dopo circa un’oretta ripartiamo seguendo ora il sentiero che scende dal Gonnella, questo pezzo di discesa sarà decisamente il più sofferto di tutto il giro. Il sentiero che scende dal rifugio è infatti odioso, si sviluppa inizialmente su uno sperone roccioso antipatico da fare in discesa per poi portarsi brevemente su un piccolo ghiacciaio e poi su una morena infinita ed estremamente faticosa sulla quale non si perde quota neanche a pagare e non se ne vede mai la fine. Dopo una paio di ore di pura sofferenza la morena finalmente finisce a il sentiero comincia nuovamente a perdere velocemente quota… Grazie a Dio! In breve scendiamo nuovamente al parcheggio dove avevamo lasciato la macchina tre giorni prima e con estrema gioia incontriamo le altre cordate che erano con noi ai bivacchi e dopo aver salito il Pilone Centrale erano scesi dalla normale francese usando poi impianti e mezzi per ritornare alla macchina. Una bella soddisfazione averci messo lo stesso tempo con le nostre gambine ha!

Una volta in macchina ci siamo subito diretti verso il primo luogo dove fosse possibile mangiare come dei suini e ci siamo fatti una meritata scorpacciata di porcherie. Una gran bella soddisfazione dopo due giorni nei quali avevo mangiato solo due colazioni liofilizzate.

Comunque come al solito non so cosa scrivere come conclusione perché come al solito ho già scritto tutto quello che avevo da dire e penso che dopo una lettura ognuno tragga le sue conclusioni da solo quindi mica serve più di tanto un “outro”. Sta a voi decidere cosa è stato questo viaggio se una ripetizione di una via, una vacanza di due esaltati, uno spunto per le vostre idee o qualsiasi altra cosa.

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